Poesie in italiano

La scultura


I ferri che fan della vita na' piatta sfera,
e sole splendente, son quelli che voglion esser nella tua mano strumento
per del sasso pulir l'opera che nel cuor suo
il fiato sopporta nella speranza di veder il giorno.

Il marmo sgonfia il suo peso,
suda la sua materia,
quando la figura dentro, che attende, emerge piano, piano,
mostrando prima il muso
e una mano gonfia di vene fuoriesce come
si fosse stata illuminata da un raggio di luce.

Il bianco cigno balla e canta le canzoni del Tempo,
tic, tac, dei secondi, delle ore,
quelle ore nere del dì e della bianca notte,
canzoni arabesche, canzoni di morte
tanto per i sepolcri amata.

Oh, Sonno! Spezza il suo ultimo dettaglio e
come fiorisce la nevata luce metafisica sulle anime belle,
bagna questo marmo che adesso sta tirando fuori un essere vivente!





Portoni di catrame


Sant'Agostino mira l'ora,
ragionando su quale strada ha da prendere per andare verso il Foro:
A Piazza San Pietro il re,
vestito tutto d'oro.

Un fascista capovolto, nella turba, si reca li a cantare
dentro la pentola
che emerge di quel cucchiaio.

C'è sopra la stella un Borbone,
che alla luna li fa vedere un ramo,
chè dolore! L'avversario l'ha sparato
a tradimento...

L'hanno lasciato ferito li, Federico!
I suoi visi si son sconvolti e come si fossero baci,
violenti, in nero disordine a morte l'hanno accoltellato!

Dietro quelle colonne il cavallo tira 'l corpo morto
di un giovane pittore. L'hanno scagliato sassi veloci come secoli,
poi, l'hanno sepolto,
oh, caro!

Fanno le preghiere spaventar le streghe, signor.
"Falso, bisogna fare il canto certamente nella notte".
Vien al cor saggio il sentimento,
canta l'amor della sua morte con un bacio.

Dammi quelle notizie, anche si veder non voglio;


Amico, Federico, ti hanno sputato sangue,
amara sangue come dolce morte;
morte, nera morte, che somiglia come lo fa 'l sonno alla
ragione, e come modella alla posa.

Disegna la figura della luna, le sue corna;
nel chiarir suo una roccia scura,
tiene l'anima come il sole.

Amor, si sei l'unica perché ti vai lontano?

La morte chiama, signora; la strega urla con le sue voci di spilla.
Niente è come l'arancio stesso, colore brillante;
 fa in questo senso
brillar il consiglio saggio, arancio, di Salomon!

"Non voglio veder 'l sangue, non voglio veder il morto",
diceva.

Son zingari, loro son barboni,
 e non sa il suo amico
che come la schiuma del mare
il capezzolo l'ha succhiato.

Adesso li fan veglia l'onde,
i barchi persi, affondati; i suoi ornati
pien di sali e calori, pien di tutti
dolori han fatto ai potenti della terra crollare...
buie son rimaste le mie abitazioni e non so dove andar.

"C'è sotto 'l mar per tanti ancora posto".

Mangia frettoloso 'l demonio
della morte. Non scade mai il visto, ne 'l passaporto,
son sempre aperte le porte
dell'abisso.



Visione: "i geni non devono morire" 

E poi, scelgo la strofa.
Cerbero all'ingresso, notturno terrore:
son lame suoi denti che fanno spaventar le genti.
Feroci boschi di punte a lui arredato
dalla crudel natura, dall'antico mondo richieste.

Avanti la strada.

A tutti accoglie come fardelli
nel magazzino del fruttarolo, la Morte.

"Persi siamo, se mi domandi
nei cespugli delle sue fiammelle".

Medita il tombarolo che la calce fa cadere
sopra l'inerte corpo.

Vedo rivolto dentro le fosse
il piccolino genio di Mozart.
Ciascuno difenda al gran maestro,
che prima di scrivere tutto ragiona!

Che meraviglia! Grida un defunto,
Quando alla riva presentasi il genio.
Sorride incluso il vecchio soldato
guida dell'Acheronte
che a li spariti, penosi, agravati, serve la sua dote.

Una montagna di ammiratori
scendono a terra a salutare
colui che col suo Requiem, inno dei morti
ha rivoltato il viso a tante anime perse.

Dopo si vede la barca ed il barchiere:
cupo è il suo viso, ardenti gli occhi.

Visione nefasta.

Quali parole, accese di fuoco, volano all'aria,
sporca di cenere, capaci di far tremar ai viziati
figli di Ulisse, il re dei bugiardi?

Domanda il giovanotto.

Ma la risposta si avvicina splendida:

Sono Lucia, sì mi ricordi?
Io ho salvato il poeta italiano
che alle nuvole portò il genere
della lingua latina dei poveri.

E lui, assorto, rispose, e come pioggia
le parole son così lontane dai miei sensi,
che non riesco ad udire nessuna.

Ma da lontano la testa le vide
com'inondata di stelle cadenti.
I suoi capelli son raggi immortali:
Viso di tutte le cose felici
che di bambino, innocente ancora
la pace di Dio da mangiar mi
fece, dicendo: "il cielo a miei figli".

Ad Egli, che è prima del tempo
mi rivolgo in parole, scappate dalla violenzia:

"A te dico, Re delle Porte: com'è stato possibile
che al tornar del viaggio un ladro mi tolse
per due soldi sporchi, il fior della mia vita?"

Inseguito ho riparato in Amadeus e Lucia,
santa pien d'oro nel suo schiarire di voci.
Segnalando al genio, feci volar queste altre parole:

E come Paura, fantasma infernale, non ha fermato
i membri della Morte gelida, l'ago del suo spirito,
davanti alla forza delle sue note?

Senza guardarmi quel mostro Caronte comun' chiamato,
fiero ci prende e ci fa salire sulla barca.

Tutto diventa fumo, che con ira vorace e morso vorace
come a pasto mangia i fiori siderali.

Quel ragazzuolo nella lontana fatica
senza il mistico pianto mostrato dai defunti, senza modi,
un sorriso fa brillar in faccia, sorriso che cresce,
e meno dolore dimostra.

"O padron, o padron, o padron son tutti morti!"

Il barchiere sdegna quell'anima che Minos,
sperto in peccati avrebbe chissà abbracciata
riconoscendo il genio, e la mano grandiosa
del musicista.

Nel infeno esiste l'ignoranza.

Che terribile spanto! Che profondo pianto!
Saper sepolto Mozart in una fossa comune!

L'angiolo presente che tutto vede, tali parole spara:

"Non fa Natura, non fa la Morte, alla fine dei giorni,
non fa distinzioni dei grandi, non rispetta
i doni sopra menti e sopra mani.

A tutti vi prende". 

 


 Mutatio caparum
 
Ci se vede un corvo su un ramo alla metà della strada,
vi sente camminare, le vostre strofe, vostri ricordi
degli anni vissuti nella infanzia, infanzia, polare stella,
quella aurora, quella mattina che son quei teneri momenti.

La goccia, invece, cadde alla fine del mio giorno.

Il re, la corona di spine alla metà del verso
che ti sputa in faccia la sua collera beffarda:
"O, quando al cielo vai a dirigere la offesa?", grida.

Veloce ascende la mano e la pistola,
una sola dita che il martello muove:
il proiettile, dritto, verso all'alto balla.

Lo sparo viaggia al cielo ed un angiolo cadde morto
sull'erba; si beffa in torno il serpe
che alla prole di Adamo morse
nel calcagno: "che bella morte, Mario!"

Sempre sorride quel demonio,
e la terra spessa, abbraccia il corpo
di quell' angiolo che Morte si prende.
Il verme, bacia e ringrazia al magistrato,
per pulir per lui la strada, come Giovanni Battista,
stendere la tovaglia per servire il 
boccone di carne angelica.

Tutti son tuoi, i tuoi morti!
Tra suoi occhiali, il sogno,
la banca, il fondo che salva,
la scusa che il suo bacio spande:
Come la natura, i suoi semi
a mangiar  ti obbliga
nella rossa polpa della fragola.

Colui che scrive questa cosa, "un matto",
un pezzo bruciato, un tizio, un ciocco...

Ma nella pazzia vi domando:
Se io son un giovane loco, col senso rapito;
io, che questa poesia vi lancio sulla merda di cavallo...
 Ripeto, nella mia pazzia vi domando:
Ey! Voi, procuratori di pace,
fatti i matti come capre, ed al diavolo baciate il
corno?

Tutti a parlare, a fare gli esemplari,
correndo in privato  la corsa delle serpi;
siete in fila per far na' svolta vietata,
e dopo a predicar, come colombe, sulla pace.

Lasciatela in pace, questa Pace!

E viene il Corvo a colui che è sporco, al liberto,
Nel povero abbaglio che suppone essere la Morte sacra.

Dimmi, te, Corvo, che mi aspetti dietro all'angolo,
Mi proteggi come un angiolo,
per poi della capoccia privarmi
dopo?




La scuola dei monotoni 


Le rive raccontano il volo
degli uccelli, come se fossero
fotografie.

Ci son tre classi,
oppure uno stoico signore.

Ci son tutti a parlare lo stesso.
Non se ne esce, neanche
se li metti tutti insieme.

Son tutti zingari, tutti
impressionisti.

A Roma non li vuole nessuno.
Matti, oppure stoici, ognuno.

Tutti pittori che fanno
lo stesso.

Tutto è lo stesso, tutti
a farsi Signori.




Il parnaso


Mi hanno detto per strada
che ne escono dei bambini selvaggi
dalla femmina truccata.

Isolati, senza padre, perché il ventre,
pieno di confusioni,
non trova più, ne conosce il proprietario del seme
che è caduto nella sua terra come grano.

E venne prima l'avvoccato,
chiude la porta; a vederla arriva il chirurgo,
dopodichè, il magistrato;
affermando la mattina aver
tra religiosa lite,
la guerra santa de strada
in parlamento, urlato: "si devono pulir le vie delle puttane".

"Son tutte perse", dopo il sesso
ore prima, nel TG esclamò.

A Campo dei Fiori, il soldato
prova con quella bionda amara.
Là su, dove alberga il cognato
l'ha portato "alla prima",
come un dipinto spagnolo.

E dopo, bagna la coscienza
nel brodo della madre dei suoi:
cinque piccolini che voglion essere
da maggiori come babbo.

E vien dopo il moralista,
a Montecitorio fa il signor.
Si ferma la sua macchina grossa,
blu per caso; alla Colombo lo spazio prende,
spera per la russa, ci son molte,
ci son tante, ci son tutte li
nel mestiere che la crisi mai vede.
"Lo scambio culturale", dice il barbone quando sente
che alla festa salgono e diccono:
"Son mila", "son due mila".
Tra le scultoree dive,
ce n'è una (cosa curiosa): con il mento quadrato
ed il suo collo, spaccato, mostra
la mela d'Adamo.
"Tre mila per il fior", rispose il pappone
visto l'interese del committente.
Il finestrino si apre ed una voce vola,
come fulmine per dir:
"Si è del Brasile miglior"

In tutto questo, ci son pure i preti:
"Lei mi dica, don Ricardo", Seppia, come il color;
i favori ai ragazzi fanno, e le loro carità escono a parole.
La predica, il rosario, il libretto della domenica,
mentre per se pensano, e le mani se bagnano e credono
lavare nell'acqua, a voci esprimono: "magari ci casca".

Che vergogna!

Ribattono,
ciascheduno qua e là,
all'udir, questo, però:
"I peccati, questi che qui
ci si elencano, son tipici dei poveri, sì, solo a lor
segnalar potrei", dall'altare predicano,
e contra la prostituzione parlano
i loro consumatori?

"E' colpa dei soldi", "è della povertà"
I magnoni son quelli che c'hanno i soldi da buttar,
su tutto adesso, in queste cose,
per dopo pulir le loro colpe
nella minestra fatta dalle loro mogli, a casa innocenti.

Lui la saluta con quella bocca stessa
che alla puttana ha detto: "conosco un hotel discreto".

Lei, invece, a casa innocente!
Coi figli e la cena pronta.

"Mi hanno detto qua e là,
che ne escono dei bambini viziati
dalla femmina truccata".

I venti si son portato via,
i riccordi vergognosi della umana calamità,
del traffico umano, del obbligo alla vendetta
contra il corpo che ci è stato offerto.

Schiavi esistono ancora, nel nostro secolo.

"Viziati per voi, causati da voi!",
si sente dall'altare, e la polizia entra.

Ma ancora c'è un sogno,
una uscita; ci son eroi dappertutto.

Che si fanno uomini e faranno la guerra;
come Madeleine che alla Fantine riscattò,
e della schiavitù pure alla Cossette.



Abbaglio

Come terra benedetta sia l'ora
dove il tuo soffio santo un giorno
in fronte tuo riccordo mi baciaba;

L'angelo forma l'aria di quel singolo momento
della beata guerra tra noi che nella macchina
sempre calda, a martellate fondeva; quel soffio santo
vorrei rinascere anche si morto.

Non sia mai la Parca a spegnere
quel dolce sorbo che ci serviva Amore;
basta, che se muoio non vorrei
esser staneo a te come un mito.

Cadendo a terra nera di Tartaro infernale
nasce nella mia fronte un alto fiore;
le curve disegnate, i capelli all'aria ballano
la danza dionisiaca, ed 'l vino;
sangue nella bocca rossa, pien' di papaveri
sperti nella fabbricazione
della dolce e dorata miele.

Quel bacio vorrei alla tua vita soffiar;
un giorno pregherai, anche si alato Amor
della tua mente, come l'lume sulla miccia
mi spenga più che morto.



 Dies Irae

Ascolta il mio clamor, che del mondo il giudice sei!
Nella mia sventura, si arrivasi la mano
e sulla mia front' un ghiaccio collase
na goccia di sogno, e fermo urlase come petalo di fiore
quella forma spirituale che a Geremia ha fatto piangere
nascosto nel cuor della roccia, e ridere e burlarsi sulla hecatombe;
vorrei che mi spiegasi la Scrittura
che la man tua sul marmo ha eretto:

"Dov'è, o Morte 'l tuo pungiglion?"

Cansa vederla prendersi i giusti sulla orbe!
E la parola cigne alla perla, ascoltando nel bramar
voci piatte come quelle del toscano Mugnone:

"Non sarò vedova, ne 'l mio viso verrà pianto"

Con quelle mani pien di muffa, e le dite angolose simili
a cespugli sotto il fuoco invernale,
lei mangia tutti uomini e animali, e nessuno 'l "ferma!" le impone!
I soldati persi vedo tra le spighe,
i corpi dei figli che mai saranno visti della loro madre.

"Dov'è, o sepolto, tua vittoria?"

A spari ha lasciato libera l'anima, quel ragazzo
che sotto 'l dominio di Franco s'ha annato martire.
La sabbia ha morso, incastrato nella tomba
senza possibile ritorno.
Per esser saggio con la penna, di pulcrum califgrafia,
ed il coraggio di denunciar i mostri che dominabano la  Spagna,
lui ha visto le Porte al di là del fiume:

"Lasciate ogni speranza, voi ch'intrate".


Addio Federico! A te andremmo i vivi
col barchiere a tagliar 'l Stige!

Crolla nelle mie labbra la preghiera dorata:
"Portammi coi Beati, fra i benedictis".

Rispose quella voce nella spiaggia
che alla forza apparse come un consiglio del angiolo;
saprei dir che spero ferir parole al ciel
e come 'l battista, la capoccia perdere nel vasoio.

Farà un mare di mani la santa sfera,
quella camera di orror vorrei far saltar in aria:
son vittime del terror, Iddio, riccorda,
crimini così brutti che al Saturno di Goya,
di spanto 'l viso girar li fece.

E poi, venne la ipocresia
che ai fratelli ha fatto forgiar coltelli
come pensieri omicidi ad incidere lontana strada
e ancora tutt'oggi a lor bagna furiosa lite.

Ho visto, mio Signor, anche se la tua voce non rispose
anche 'l tuo rostro facciato altrove hai;
dimmi come farai giustizia con quella persona,
che al ragazzo d' aiutar s' aveva presso a cuor
e dopo alla strada e alla fame ha cacciato via
pulendosi a parole con frasi sorprendenti:
"Ha preferito andarsene, che i piatti lavar".

Vergogna mi fa e arder nel cuore,
saper che alla instituzione di Roma quel signor apprese
e ancora di bugie 'l suo nome presenta "Don",
lieto, a copre di terra
suoi fatti vergognosi; portando con orgoglio la nera divisa,
senza ostacolo nessuno,
e senza eleganza la stola con la croce.

Risposta arriva dal ciel, sensibile a miei sensi
come colomba di giall'oro:

"Mia è la vendetta, Io pagherò".  





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